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Verso la fine di febbraio del 1940, tra i nuovi arrivi nel nostro blocco ci fu anche un pastore, un uomo di circa sessant’anni.
Il supplizio dell’assegnazione della divisa e le solite torture ebbero su di lui un effetto particolarmente devastante, soprattutto la lunga attesa davanti al blocco, nudo e scalzo. Dopo il bagno, al momento della rasatura, l’ufficiale delle SS addetto al reparto si fece portare un rasoio e disse: «Adesso ci penso io a lucidare per bene la zucca di questo prete frocio». E iniziò a radere i capelli del pastore, senza occuparsi troppo di evitare di ferirlo. Con il capo completamente escoriato e sanguinante, il pastore tornò alla sala del nostro blocco. Il suo viso era terreo e fissava sgomento il vuoto davanti a sé.

Stava pregando, in silenzio, muovendo solo le labbra.

Il nostro incaricato alle pulizie della camerata, un verde disgustoso e brutale, andò a riferire alle SS la preghiera del pastore. Il nostro Blockführer piombò nella baracca con un altro ufficiale, sollevò dalla panca il pastore atterrito e iniziò a percuoterlo e a ricoprirlo di insulti. Il pastore non reagì in alcun modo ai colpi e alle ingiurie e fissava in volto i suoi aguzzini con gli occhi spalancati e allibiti.

La cosa dovette renderli ancora più furiosi. A quel punto misero una panca al centro della sala, ci gettarono sopra i pastore di schiena e quindi lo legarono stretto con delle corde. Con i manganelli lo pestarono su tutto il corpo, sulla pancia, le cosce e i genitali, eccitandosi e urlando: «Adesso ti facciamo passare la voglia di pregare! Rottinculo!».

Il pastore gemeva e perdeva conoscenza, veniva fatto rinvenire e di nuovo perdeva i sensi. Infine i due sadici smisero di picchiarlo e uscirono dalla sala, non prima però di aver urlato al pover’uomo massacrato sulla panca: «Ecco qua, razza di frocio, adesso puoi pisciare col buco del culo!».

Il pastore emise solo un rantolo. Lo lavammo e lo mettemmo nel suo letto. Cercò di alzare la mano ma gli ricadde subito senza forza, la voce gli morì in gola quando volle dirci «grazie». Restò a lungo sulla sua branda, immobile, a occhi aperti e a ogni movimento il viso gli si contraeva in una smorfia di dolore.

Mi sembrava di aver assistito a una moderna crocifissione di Cristo: al posto dei soldati romani le SS di Hitler, la panca al posto della croce. Il supplizio e il dolore del redentore non dovevano essere stati peggiori di quelli che avevano dovuto patire uno dei suoi rappresentanti in terra, millenovecento anni più tardi, lì a Sachsenhausen.

Il mattino dopo, quando ci recammo a passo di marcia sul piazzale per metterci in fila, dovemmo quasi trascinare il pastore di peso, dato che non si reggeva in piedi. Quando l’anziano del nostro blocco riferì il fatto al nostro Blockführer, questi urlò al pastore:

«Non puoi stare dritto, rottinculo? Porco che non sei altro, brutto frocio, avanti, dì quello che sei!».

Il pastore avrebbe dovuto ripetere queste ingiurie, ma dalla sua bocca non usciva alcun suono. In preda all’ira, l’ufficiale si gettò su di lui, alzando il braccio con l’intenzione di schiaffeggiarlo.

D’un tratto accadde una cosa che tutt’oggi mi risulta inspiegabile e che allora mi parve un vero miracolo, quasi un segno di Dio: all’improvviso, dal cielo rannuvolato un raggio di sole illuminò proprio il viso del pastore.

Scese un gran silenzio e tutti i presenti fissarono il cielo come impietriti, colpiti da questo evento straordinario. Anche il Blockführer rivolse al cielo uno sguardo stupito, lasciò cadere lentamente la mano e, visibilmente impressionato, si mise in silenzio all’estremità di una fila di detenuti.