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Il Sonderkommando era la squadra speciale composta da deportati, per la maggior parte di origine ebraica, obbligati a compiere il lavoro di rimozione dei corpi dalle camere a gas e di gestire i forni crematori.
Salmen Gradowski, ebreo polacco nato nel 1909 a Suwalki, vicino al confine lituano, venne deportato ad Auschwitz nel dicembre del 1942. Assegnato al Sonderkommando di Birkenau, fu ucciso dai nazisti probabilmente il 7 ottobre 1944, dopo la rivolta di parte della squadra. Per aver scritto un diario, molto probabilmente nella primavera del 1944, è il maggiore testimone della squadra speciale dei forni crematori.
Il suo diario è a tutt’oggi l’unico documento a raccontare il cuore della terribile esperienza di sterminio all’interno dei lager tedeschi. Redatto in lingua yiddish durante il periodo di prigionia e sepolto nel terreno di Birkenau, venne ritrovato nei mesi successivi alla liberazione del campo.

Caro lettore, troverai in queste righe il racconto delle sofferenze e dei tormenti che noi, le più infelici creature di questa terra, abbiamo subito al tempo della nostra «vita» in questo inferno in terra, che si chiama Auschwitz-Birkenau. Immagino che quando tu leggerai queste righe, il mondo già saprà di questo luogo, e tuttavia nessuno potrà immaginare la realtà di ciò che qui è avvenuto. Alcuni, tra coloro che avessero sentito per radio o per altre vie delle barbarie che qui vengono praticate sugli esseri umani, penseranno che sia solo «Greuel-propaganda». Desidero farti sapere che tutto quello che hai udito, e che io stesso ho scritto, è non soltanto la verità, ma una minima parte di ciò che qui è accaduto. Qui, c’è il luogo creato dai banditi come un covo dello sterminio, innanzi tutto per il nostro popolo, ma in parte anche per altri popoli. Auschwitz-Birkenau è uno di questi covi della morte sparsi in diversi luoghi, in cui si sta sterminando il nostro popolo con metodi diversi.

Scrivo con l’intenzione che almeno una piccola parte della verità giunga a conoscenza del mondo, e che tu possa reclamare vendetta, mondo, vendetta per tutto! Questo è il solo scopo, l’unico significato della mia esistenza. Io vivo qui con questo pensiero, con questa speranza, che forse questi miei scritti ti arriveranno e che si realizzerà nella vita almeno una parte di ciò cui noi aspiriamo, io e noi tutti che qui ancora siamo in vita, e che è stata l’ultima volontà dei fratelli e delle sorelle assassinate del mio popolo.

Allo scopritore di questi manoscritti!

Ho una preghiera da farti, caro scopritore di questi scritti, è il desiderio di un uomo che sa e che sente che sta per arrivare il suo ultimo istante, l’istante decisivo della propria vita. So che io e tutti gli ebrei, qui, siamo condannati a morte da un pezzo, solo il giorno della sentenza non è ancora fissato. Per questo, amico mio, ti prego di esaudire il mio desiderio, il mio ultimo desiderio prima dell’esecuzione finale! Amico mio, rivolgiti ai miei parenti all’indirizzo indicato. Da loro saprai chi siamo, io e la mia famiglia. Avrai da loro il ritratto della mia famiglia – assieme alla foto di me e di mia moglie – e unirai queste foto a tutti questi scritti pubblicati. Che gli occhi che le contempleranno, versino almeno una lacrima, per un pianto, un sospiro. Sarà per me il più grande conforto, che mia madre, mio padre, le mie sorelle, mia moglie, la mia famiglia, forse anche i miei fratelli, non sono scomparsi da questo mondo senza una lacrima.

Che i loro nomi, la loro memoria, non siano cancellati così in fretta!

Io, il loro figlio, non posso piangere qui, nel mio inferno, perché annego ogni giorno in un oceano, in un oceano di sangue. Un’onda sommerge l’altra. Non hai un momento per ritirarti nel tuo angolo e piangere, piangere su questa distruzione. La morte permanente e sistematica, che qui è l’unica vita di tutta la vita, ricopre, sconvolge, annienta i tuoi sentimenti. Non puoi provare neppure il più grande dei dolori. Il dolore individuale è inghiottito dal dolore collettivo.

Talvolta il cuore si spezza, l’anima si strazia – come posso restare così «insensibile», non piangere, non lamentarmi per la mia tragedia, tutti i sentimenti di ghiaccio, smorzati, atrofizzati? A volte ho sperato, mi sono consolato all’idea che sarebbe arrivato un giorno, un giorno in cui io avrei avuto finalmente la grazia di poter piangere – ma chissà… Il suolo è malfermo, la terra trema già sotto i miei piedi.

Io desidero in questo momento, è il mio solo voto, poiché non li posso piangere, che un occhio estraneo versi una lacrima per i miei cari.

Ecco la mia famiglia, bruciata qui martedì 8 dicembre 1942, alle 9 del mattino:

mia madre – Sarah
mia sorella – Libe
mia sorella – Esther Rachel
mia moglie – Sonia (Sarah)
mio suocero – Rafael
mio cognato – Wolf

Di mio padre, che due giorni prima che scoppiasse la guerra russo-tedesca si era trovato per caso a Vilno ed è restato là, ho ricevuto delle notizie da una donna originaria della mia città, finita nel crematorio con un trasporto dalla Lituania. Da lei ho saputo che nella notte di Yom kiper del 1942, mio padre è stato catturato assieme a qualche decina di migliaia d’ebrei, ma di più non ha voluto dirmi. Avevo anche una sorella, Feigele, e una cognata, Zisl, a Otvotsk, sono state entrambe deportate con i trasporti da Varsavia a Treblinka, e certamente sono state gassate. I miei due fratelli Moyshl e Abraham-Eber – ho avuto loro notizie da questa stessa signora Kechkovski di Vilno, da lei ho saputo che erano già da tempo stati deportati in un lager. Non so nulla, di quello che è successo a loro dopo. Chissà se non sono già da tempo passati per le mie stesse mani, come «musulmani», morti o vivi, trasportati qui da qualche altra parte.

Questa è la totalità della mia famiglia – del mio mondo di un tempo –, mentre io devo vivere ancora qui – colui che sta sull’orlo della tomba, quello sono io.

Salmen Gradowski


Dario Manera
Dario Manera

Lettura e interpretazione di Dario Manera.