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La fuga degli ebrei dall'Italia nazi-fascista è una storia veramente finita?
Grandi flussi migratori, causati da guerre, instabilità e violenza, ci stanno ripresentando lo stesso scenario attraverso le acque del Mar Mediterraneo: profughi e perseguitati stanno tentando di raggiungere l'Europa in cerca di salvezza.

Non respiro bene... è come se... come se mi mancasse l’aria, non so, come se qualcosa di pesante, qualcosa tipo un masso, mi schiacciasse il petto con forza.
E’ che qui siamo troppi. Sì ... forse sarà anche che qui saremo più di mille e ce ne potrebbero stare massimo 300... 350. C’è gente di ogni età. Vecchi, donne, bambini. Io e mia sorella. Mia madre e mio padre sono già andati, ma non ne so più nulla, non ne so più nulla da mesi... meglio se non ci penso... meglio se non penso proprio a niente.

Ad ogni modo, siamo schiacciati uno sopra l’altro. Ci credo che non respiro. Ci hanno ammassato qua dentro come carne da macello, come fossimo dei maiali. Ma forse perché per quelli che comandano qui, è proprio questo che siamo. Dei maiali. Fanculo.

Ho sete.
Una sete da morire, non bevo da quasi un giorno, qui nessuno ci dà bere, porca puttana. Anzi, se proviamo a chiedere dell’acqua, ci insultano come cani. Ci trattano come bestie, l’ho detto. Un ragazzo, prima, ha provato a supplicare uno di quelli per avere da bere per suo figlio piccolo che piange ininterrottamente da ore ed ore, e questi l’hanno malmenato di fronte a tutti. L’hanno massacrato di botte, ora perde sangue dalla fronte. Maledetti bastardi. Non avrà nemmeno un anno, quel bambino. Ma come si fa? Ma non ce l’hanno un cuore questi qui? Che poi sul mangiare magari uno ci fa il callo. Nel senso, senza mangiare si può anche stare qualche giorno... ma il bere... senza il bere no. Poi i bambini così piccoli... (pausa)
Dio mio. C’è gente, qui , che peserà venti chili, se va bene. Hanno le ossa che si vedono a occhio nudo... gli occhi fuori dalle orbite. Alcuni non hanno nemmeno la forza di reggersi in piedi... si lamentano, schiacciati uno sopra l’altro. Un lamento costante. Un lamento ininterrotto che ti entra nella testa, nel sangue, nel cuore, fino a congelartelo. Un lamento come un mantra infernale... uh uh uh uh uh uh uh... Non ce la faccio più, sto impazzendo, cazzo. Impazzendo. Non devo pensare, non devo fare niente, perché se penso, sono fottuto. Lo vedo dagli occhi degli altri, che sono fottuto. Dal loro sguardo pieno di terrore. Sono come me, loro. Siamo tutti della stessa razza, tutti rovinati da questa guerra di merda della quale non possiamo nulla. Tutti in mano a questi pazzi esaltati. Tutti che sappiamo benissimo, dove stiamo andando, in questo momento. Nessuno è così realmente scemo da credere alla favoletta che ci hanno raccontato, non posso credere che qualcuno ci abbia abboccato. No. Non c’è la salvezza, là dove stiamo andando. Tutte cazzate. Io lo so. Ho sentito dire di migliaia di morti. Le voci girano. Tutti morti, altro che liberi. Molti non ci sono neanche arrivati, là. Morti prima. E poi, anche se ci stessero davvero portando dove dicono... siamo sicuri che anche là non saremmo la razza inferiore? Eh? Siamo sicuri che ci sarà umanità? Rispetto? C’è rimasta solo la speranza, questa è la verità. Solo la speranza.

Mia sorella mi tiene la mano. Mi ha detto, se mi addormento svegliami, voglio restare sveglia fino alla fine. Le ho risposto di sì, ma in realtà preferirei che dormisse. Preferirei che non si accorgesse di nulla, se dovesse succedere qualcosa di brutto. A tredici anni nessuno deve essere stipato qui sopra e sentire tutti questi lamenti. A tredici anni si gioca con le bambole... si gioca a fare le signore per bene... si leggono i romanzi d’amore e si sogna di essere una principessa. A tredici anni si ha diritto a un futuro. Si ha diritto alla vita.
Fanculo, ora ci si mette anche il freddo. Ma quanto dura questo viaggio? Io mi sento male... mi sento svenire. E pensare che stavo per laurearmi. In medicina. Ho sempre sognato di fare il medico. Fin da quando ero piccolo... prendermi cura delle persone... guarire i loro mali. Sarei stato un buon medico, su questo ci metto la mano sul fuoco. Ma adesso... Questa gente non può portarmi via tutto così, dal giorno alla notte, solo perché non gli vado bene. Non possono farci questo. Non possono.

Ho paura. Ho tanta di quella paura che potrei farmela sotto. Cosa sarà di me... Di mia sorella... Di tutta questa gente... cosa è stato di mia mamma e di mio papà?
Mi viene la pelle d’oca, se guardo negli occhi tutte queste persone terrorizzate. Sembriamo... sì, sembriamo come nella seconda guerra mondiale. Sembriamo gli ebrei deportati in massa dai nazisti, anche loro uno sopra l’altro, stipati nei treni, verso chissà quale destino. Sembriamo proprio loro, ora che ci penso. Solo che siamo nel 2018...già. Siamo nel 2018.

Mi chiamo Kehinde. E sono nigeriano. Ho 21 anni. A bordo di questa bagnarola stiamo attraversando il mare verso le coste italiane, per fuggire dalla nostra guerra, in cerca di salvezza. Speriamo di trovarla. Speriamo di arrivarci. Speriamo di tornare a casa presto.
Speriamo. Tutti.

Eugenio Ripepi

Lettura e interpretazione di Eugenio Ripepi.

Testo di Matteo Monforte.

Allestimento scenografico realizzato dagli studenti dell'Accademia Ligustica di Belle Arti: Nora Cassini, Benedetta Piombo, Valeria Torti.