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A febbraio 2017 è stato reso noto che più di 100 residenti maschi della Repubblica cecena, una parte della Federazione Russa, sono stati rapiti, tenuti prigionieri e torturati dalle autorità a causa dei sospetti sul loro orientamento sessuale. Il numero di uomini sequestrati e successivamente morti in quelli che sono stati definiti “campi di concentramento” non è noto. Le accuse sono state inizialmente mosse il 1 ° aprile 2017 dal “Novaya Gazeta” un giornale di opposizione russo secondo il quale oltre 100 uomini sarebbero stati detenuti e torturati e almeno tre sarebbero i morti.
Questo testo, scritto apposta per Parole d'Inciampo, è stato prodotto utilizzando le informazioni pubblicate da L'Espresso il 9 maggio 2017.

Spettri. Vedo i loro volti, deformati, davanti a me. Sono ombre che fatico a comprendere. Ridono. Mi colpiscono. Mi interrogano. Mi feriscono. Poi il dolore mi annebbia i pensieri, fino a non capire più nulla.

Cerco di rintanarmi nelle profondità della mia anima. Mi impediscono anche questo. Non vogliono. Forze troppo grandi si muovono intorno a me e non ho nessuna via di salvezza. Sono in loro balìa.

A loro serve che perda coscienza di me, fino a farmi tirare fuori le parole e le frasi che custodisco. Se dicessi tutto, non avrebbero più bisogno di me.
Vogliono i nomi dei miei amici, degli attivisti con cui ho collaborato, di chi ho amato. Li vogliono trovare, così come hanno trovato me. Vogliono eliminarci tutti.
La paura che la centrifuga di dolore ricominci mi fa altrettanto male e mi paralizza.

Nelle nebbie di quello che la mia mente riesce a riflettere, ho ancora un briciolo di consapevolezza. Mi guardo attorno e riconosco la cella, luogo di attesa del prossimo dolore; è l’anticamera dell’altra stanza, quella dove non vorrei tornare mai più.
Non c’è luce. Non so che ora sia, nemmeno se è giorno. Non riesco a percepire con chiarezza il tempo che scorre. In fondo a cosa mi serve saperlo.
Mi hanno riportato qui da poco. Prima ero di là. Mi hanno spogliato, completamente, legato e appeso a un gancio per le braccia.
Continuavano a farmi domande e a farmi male. Finché mi colpivano con i tubi di gomma, potevo sopportarlo. Il dolore era circoscritto. Stringevo i denti e respiravo.
Quando hanno iniziato a usare l'elettricità, qualcosa è cambiato anche in loro e mi sono sentito impazzire. Li vedevo girare la manovella e poi, dopo un istante, bruciavo come fuoco. Tremavo come una foglia.
Il mio corpo ne porta i segni. Un marchio sulla mia pelle, nella mia carne, in gola, nel petto, nell'anima.
Nudo e senza forze mi rannicchio cercando di proteggermi e di consolarmi. Tutto potrebbe ricominciare da un momento all'altro.
Mi insultavano. Anche quelle parole mi bruciano dentro.

Vogliono liberare tutto il paese dalla gente come me. Vogliono una razza pura e io puro non sono. Io sono vergogna, perversione, malattia; io sono frocio, uno sporco frocio.
Io e tutti quelli come me non meritano di esistere. Siamo da eliminare, da purgare.

Mi avevano detto di stare attento, ché gruppi di ragazzi, probabilmente militari, vengono a cercarci dove ci incontriamo.
Avevo preso appuntamento con un ragazzo che mi era sembrato bellissimo; da quando ho visto le sue foto immaginavo già tutto: sesso, amore, una storia, forse l'uomo della mia vita, forse solo una notte eccitante.
Poco prima di incontrarlo gli ho scritto un messaggio. “D’accordo, vediamoci in un posto isolato e buio”. L’aveva chiesto lui, aveva troppa paura di essere scoperto.
Una volta lì, sono subito stato circondato da un gruppo di militari in divisa nera.
Il tempo di accorgermi che stavano facendo un video e si sono avventati su di me.
Mi hanno pestato: calci e pugni per un tempo che mi è sembrato lunghissimo. Mi urlavano che gente come me non dovrebbe esistere in Cecenia e in Russia.
Poi mi hanno preso il telefono e costretto a chiamare mia madre.
Avevo qualcosa di rotto in bocca e non riuscivo a parlare bene. Il pianto faceva il resto, rendendo incomprensibili le mie parole.
Le hanno detto che sono un pervertito, che mi faccio scopare da altri come me e che ci avrebbero pensato loro.

Speravo se ne andassero, però ispezionando i contatti della mia rubrica, si sono detti qualcosa a bassa voce. Allora mi hanno caricato su un furgone e portato qui.

Non credevo che mi sarebbe potuto succedere. Ho sempre pensato che fossero cose che si vedono nei film, non nella realtà, nella realtà di oggi almeno, nel 2017.
La Russia e la Cecenia non mi vogliono, la mia gente non mi vuole, anche la mia famiglia forse non mi vorrà più.

Ecco, li sento. Sono tornati a prendermi. Mi porteranno nell’altra stanza.
Io ormai non esisto più. Vi chiedo d'essere voi a volermi, a ricordarmi.

Fabrizio Costella

Letto e interpretato da Fabrizio Costella.

Testo di Claudio Tosi.

Allestimento scenografico realizzato dagli studenti dell'Accademia Ligustica di Belle Arti: Giada Ronco Milanaccio, Mara Amapane, Sara Pianta.