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La prima fase individuata nello studio di Gregory H. Stanton è la Classificazione. Tutte le culture hanno categorie per distinguere le persone in “noi e loro” come l’etnia, la religione, la sessualità, la classe o la nazionalità: il tedesco e l’ebreo, gli hutu e i tutsi, gli eterosessuali e gli omosessuali. La classificazione è una componente umana e non determina necessariamente un genocidio a meno che non venga combinata con l’odio, tanto da diventare uno degli strumenti principali per dividere la società e creare una lotta di potere tra i gruppi. Le società bipolari che mancano di categorie miste, come il Ruanda e il Burundi, hanno più probabilità di avere un genocidio.

L’idea di una differenza di tipo razziale fra gli hutu e i tutsi è legata al primo colonialismo belga in Africa. I coloni belgi, basandosi sulla semplice osservazione dell’aspetto fisico degli appartenenti ai diversi gruppi, si misero a misurare le persone, l’altezza, i tratti somatici, la lunghezza del naso, la bocca decidendo così che i tutsi erano alti e snelli, a differenza degli hutu.

La principale misura preventiva in questa fase iniziale è lo sviluppo di istituzioni universalistiche che trascendono le divisioni etniche o razziali, che promuovono attivamente la tolleranza e la comprensione e che promuovono le classificazioni che trascendono le divisioni. La Chiesa cattolica avrebbe potuto svolgere questo ruolo in Ruanda, se non fosse stata lacerata dalle stesse divisioni etniche della società ruandese. La promozione di una lingua comune in paesi come la Tanzania ha anche promosso l’identità nazionale trascendente. Questa ricerca di un terreno comune è vitale per la prevenzione precoce del genocidio.

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